lunedì 24 dicembre 2007

A U G U R I ! ! !

BUON NATALE !!!

domenica 16 dicembre 2007

"I FATTI DI SCILLA"

C’è un episodio che, l’inesorabile trascorrere del tempo, ha cancellato dalla memoria comune. Una vicenda che all’epoca suscitò scalpore tanto da meritare ampi articoli sulla stampa locale anche in occasione del conseguente processo penale. E’ un caso, sfociato in fatto di cronaca, che evidenzia lo spirito di critica ai soprusi che un tempo animava gli scillesi. Nella tarda serata del 4 maggio 1920, un inusuale campanello di gente staziona in piazza San Rocco. I convenuti appartengono stranamente alle più svariate classi sociali. Unico fattore che li accomuna, oltre all’essere cittadini di Scilla, è l’appartenenza alla locale sezione degli ex combattenti. Man mano che trascorrono i minuti, la folla s’ingrossa e l’iniziale sparuto campanello, è irrobustito anche da donne e ragazzi. Qualcuno, quasi seguendo un copione già definito nei minimi dettagli, entra nella chiesa di San Rocco, raggiunge il campanile e inizia a far suonare le campane. E’ un segnale, l’ultimo appello che annunzia l’inizio della rivolta contro il Palazzo. Scilla insorge contro il carovita e le ristrettezze alimentari. Nel mirino dei manifestanti, l’amministrazione comunale, guidata dal commissario prefettizio Alessandro Canale, rea di avere approvato un provvedimento con cui si dispone il razionamento del pane. Quella notte, come recita la sentenza penale, “buona parte della popolazione” si riversò in piazza. La folla tentò di occupare il municipio, presidiato da carabinieri e guardia di finanza. I militari avevano la consegna di restare immobili e non replicare alle invettive dei dimostranti. Formato quindi un cordone invalicabile a difesa della casa comunale, i tutori dell’ordine pubblico restavano impassibili innanzi alla marea di scillesi in tumulto. L’ordine era quello di non dare alcuno spunto capace di infiammare ulteriormente gli animi. Tuttavia, questa forma di “adattamento” adottata da carabinieri e guardia di finanza, non durò a lungo. La situazione precipitò e si passò al corpo a corpo. Le forze di polizia, armi in pugno, caricarono la folla. Seguirono scontri violenti. Una donna assalì il maresciallo e con un morso lo ferì al naso. Il gran trambusto consentì ad alcuni di penetrare all’interno del palazzo comunale. I manifestanti, messi a soqquadro alcuni uffici, accatastarono mobili e documenti dandoli alle fiamme. Si trattò, comunque, di un tentativo d’incendio. Le poche persone riuscite ad entrate nel municipio furono costrette a battere in ritirata dall’intervento energico dei carabinieri. La sommossa ebbe conseguenze penali che coinvolsero circa trenta cittadini. Tra gli imputati, difesi da un collegio di legali composto, tra gli altri, dal futuro sindaco e podestà Valentino Varbaro, vi era anche il commendatore Giuseppe d’Amico (nella foto), importante figura della vita politica cittadina che in futuro sarà nominato commissario prefettizio ed eletto più volte sindaco. Nel 1921, i giudici del Tribunale penale di Reggio Calabria mandarono assolti tutti gli imputati, poiché non “fu possibile ricostruire esattamente i fatti”. La stesura di quel verdetto, a parere dello storico Domenico Cersosimo, fu determinata anche da fattori “politici”, che vanno individuati nel mutato clima politico nazionale. I disordini di quella notte furono ricordati dalla stampa come “I fatti di Scilla”.

venerdì 14 dicembre 2007

L'Aquilotto scillese

Rocco Siclari, di Diego e di Macrina Siclari nacque a Scilla il 25 agosto 1909 in una delle baracche post-terremoto ubicate nell’area dell’ex campo sportivo, dove oggi sorge la villa comunale. Arruolatosi nella Regia Aeronautica agli inizi degli anni trenta, frequentò i corsi di addestramento per sottufficiali piloti, al termine dei quali fu nominato sergente. Assegnato ad uno stormo di stanza in Puglia. Avviato ad una brillante carriera militare, grazie alle sue particolari doti ed alla preparazione e competenza in campo aeronautico, ben presto fu promosso al grado di sergente maggiore pilota. Esplosa la guerriglia in Etiopia, Rocco Siclari venne trasferito insieme al suo stormo nella zona operativa dell’Emberterà.
Il sacrificio estremo del sergente maggiore pilota, medaglia d'argento al valor militare, protagonista di una memorabile azione aerea nella zona dell'Emberterà, è stato ricordato nel corso della celebrazione del XXX anniversario della fondazione della sezione dell'Associazione arma aeronautica e del XL anniversario della morte del generale di squadra aerea, Silvio Napoli, organizzata presso l'aeroporto dello Stretto dalla sezione provinciale. Il due giugno del '37, “l’aquilotto scillese” chiese insistentemente di partecipare ad una azione di guerra nel deserto africano. Il pilota di Scilla si distinse tra i colleghi della propria squadriglia infliggendo gravi perdite al nemico. Ma, purtroppo, il destino in agguato rapì la sua giovane vita tra l'azzurro di quel cielo che tante volte lo aveva visto protagonista. Il suo aereo fu colpito da alcuni micidiali proiettili esplodenti. L'aquilotto riuscì ugualmente ad atterrare tra le dune dell'Emberterà. Il giovane aviatore, raggiunto e circondato da ingenti truppe nemiche, invece di arrendersi resistette arma in pugno sino all'ultima pallottola. Per tributare il giusto omaggio alla memoria
dell’eroico scillese, l’Associazione Arma aeronautica ed il Comune di Reggio Calabria hanno inserire il nome di Rocco Siclari nel monumento agli eroi reggini dell’aria realizzato sul lungomare della città della Fata Morgana.

MOTIVAZIONE
Medaglia d’argento al Valor Militare (alla memoria)
“Chiedeva insistentemente di partecipare ad una azione di guerra in zona Emberterà. Con grande precisione e cosciente sprezzo del pericolo, infliggeva forti perdite al nemico.
Costretto, perché colpito irrimediabilmente al motore, atterrava fra le orde ribelli che egli stesso aveva posto in fuga, combatteva da prode contro nemici mille volte superiori al numero, finché, soverchiato dalla furia selvaggia, cadeva con l’arma in pugno, immolando la sua giovane vita per la gloria della Patria che tanto amava”.
Cielo dell’Impero, 2 giugno 1937 XV B.U. 1938 Didp. 48ª pag. 1223
La medaglia d'argento al valor militare Rocco Siclari viene commemorato annualmente a Reggio Calabria dall'Associazione Arma Aeronautica. Nel 2006, l'Anassilaos, nell'ambito della cerimonia dedicata ai caduti militari e civili di Reggio e provincia ha consegnato una targa ricordo ai familiari. A pochi giorni dal 2008, cioè a quasi 71 anni dall'eroica morte, il comune di Scilla non ha ancora "trovato" il tempo per ricordarlo. Nemo profeta in Patria!!

Il massimo della pena

Gran Corte Criminale
della
Prima Calabria Ulteriore


La Corte
Dichiara Filippo Bova da Scilla colpevole d’omicidio premeditato con arma da taglio assassinio in persona di Rocco Fava primo eletto del comune di Scilla avvenuto il 13 novembre 1830. Filippo Bova e la sua famiglia da lunga data esercitavano abusivamente l’uso del monopolio atto alla vendita di prodotti ittici. Quando il soggetto passivo fu investito della carica di primo eletto, decise di porre fine a tale arbitrio. E per tali motivi venne ucciso. Condanna Filippo Bova alla pena di morte; al ristoro delle spese di giudizio liquidati in 99 ducati e grana 20 a profitto della Reale Tesoreria.

Reggio li 3 gennaio 1832


Corte d’Assise di Reggio Calabria

La Corte
Dichiara Antonino Chirico, fu Filippo, di anni 28, cardaio, da Scilla, nullatenente, celibe, analfabeta, non militare colpevole di grassazione accompagnata da omicidio in persona di Pietro Tigani, assassinio avvenuto l’11 ottobre 1868. L’imputato aggredì la vittima uccidendola e depredandola di un carico di olio, il misfatto avvenne a Scilla. Condanna Antonino Chirico alla pena di morte e alle spese di giudizio a favore dell’Erario Nazionale.

Reggio Calabria li 2 febbraio 1871

giovedì 1 novembre 2007

Il terremoto del 16 novembre 1894

Il 16 novembre del 1894 alle ore 7 e un quarto di notte, quando tutti i cittadini pacificamente stavano nelle loro case, ed altri ancora in piazza, vi fu un tremendo tremuoto che quasi tutta la provincia e la Sicilia ancora subirono immensi danni colla distruzione di fabbricati e nel comune di Palmi vi furono anche dei morti.
Io ho avuto distrutto l’intero fabbricato alla Melia, come pure si distrusse la Chiesa.
Alla Chiesa Madre del nostro Duomo i danni pure furono tanti che si è dovuto rifare tutto e si doveva ancora rifare il campanile ed altro.
dottor Giovanvincenzo d’Amico-Ferrante

lunedì 22 ottobre 2007

FRANCESCO VITA: esimio chirurgo in divisa

Francesco Vita nasce a Scilla il 19 gennaio 1926 da Raffaele e Rosina Liperoti. Frequenta le Scuole Elementari sotto la guida della maestra Grazia Giordano, prosegue gli studi delle Scuole Medie Inferiori e Ginnasiali presso l’Istituto Salesiano “Don Bosco” di Messina ed in seguito di Torino; a causa della guerra è costretto a rientrare a Reggio Calabria, conseguendo la maturità presso il Liceo Classico “Tommaso Campanella”. Iscrittosi al corso di laurea di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Messina, nonostante i primi anni siano difficoltosi per la persistenza del conflitto bellico mondiale, il 30 Marzo 1951, ad appena 25 anni, consegue la laurea in Medicina e Chirurgia; si abilita nel medesimo Ateneo all’esercizio della professione di Medico Chirurgo.
Nel 1951 svolge il servizio di leva a Firenze presso la Scuola di Sanità per Allievi Ufficiali Medici e nello stesso anno, in data 28 novembre 1951, supera il corso di Igiene Pratica per Ufficiali Sanitari presso l’Università degli Studi di Firenze. L’1 gennaio 1952 ottiene la prima nomina a sottotenente di complemento del Servizio Sanitario (ruoli Ufficiali Medici) ed in data 14 gennaio 1952 presta giuramento di fedeltà alla Repubblica Italiana all’Ospedale Militare di Udine dove viene chiamato a prestare servizio.
Negli anni successivi svolgerà intensa attività di Chirurgia (oltre 500 interventi nel solo primo anno) comprovata dai registri operatori dell’Ospedale Militare di Udine; nel corso di questo servizio effettuerà personalmente un delicato intervento chirurgico a cui seguirà un’importante pubblicazione per la Chirurgia Generale di quegli anni: “Cisti da Ansa di Braun esclusa” (1953).
Nel 1952 pur risultando vincitore di concorso per Medico Condotto bandito dalla Prefettura di Reggio Calabria, rifiuta l’incarico avendo ormai intrapreso la carriera militare.
In qualità di Ufficiale Medico dell’Esercito, dopo breve permanenza alla Scuola Allievi Ufficiali di Pubblica Sicurezza di Roma, il 25 marzo 1954 viene nominato con parità di grado Ufficiale Medico del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza (oggi Polizia di Stato) ed assegnato al Gruppo di P.S. di Gorizia.
Ottiene l’avanzamento di grado a tenente medico e viene trasferito a Trieste come dirigente del Servizio Sanitario della Polizia del “Friuli Venezia Giulia”.
Già capitano medico, il 13 luglio 1960 viene trasferito a Reggio Calabria per dirigere l’Ispettorato 14ª zona.
In quest’ultima sede, frequenta presso gli Ospedali Riuniti “Civico e G. Melacrino” di Reggio Calabria il corso di Elettrocardiografia Clinica, conseguendone il Diploma in data 15 ottobre 1963.
Nel febbraio 1965, gli viene offerto l’incarico di Funzionario Sanitario presso la Direzione Generale dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie, rifiuterà anche questo incarico per proseguire la carriera militare.
Effettua i concorsi per l’avanzamento di grado dapprima a maggiore Medico (in data 15 marzo 1969) ed in seguito a tenente colonnello Medico (in data 1 giugno 1972); con questa ultima nomina gli viene affidata la dirigenza dell’Ufficio di 7ª zona Calabria e Campania. Durante tutti questi anni, oltre alle gravose mansioni di dirigenza, controllo sanitario, ispezioni e attività medico legali, svolge delicate e rischiose incombenze affiancando la Magistratura nell’attività fiscale ai pregiudicati, avendo un ruolo determinante nella lotta alla mafia e alla criminalità organizzata. In data 02 giugno 1975, sentita la giunta dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri Aldo Moro, il Presidente della Repubblica Giovanni Leone gli conferisce il titolo di “Cavaliere della Repubblica Italiana”. In data 01 gennaio 1978, riportando giudizio di idoneità all’avanzamento, viene nominato Primo Dirigente Medico e promosso con la qualifica di Colonnello Medico. In data 23 giugno 1980 gli viene conferita dal Ministero dell’Interno - Direzione Generale della Pubblica Sicurezza - la “Croce d’oro” per anzianità di servizio. In considerazione di particolari benemerenze, in data 02 giugno 1981 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini gli conferisce il titolo di “Grande Ufficiale della Repubblica Italiana”. Nel corso degli oltre 40 anni di servizio prestati nella Polizia, l’Ufficiale Superiore Medico Francesco Vita è incorso in numerose infermità ed incidenti sul lavoro che gli hanno procurato importanti invalidazioni fisiche che lo hanno costretto a sottoporsi ad interveti chirurgici pur di ottemperare nuovamente ai suoi gravosi impegni istituzionali. Per i numerosissimi servizi d’istituto, per visite fiscali a dipendenti dell’amministrazione, a soggiornanti obbligati, a detenuti o a sorvegliati speciali o loro familiari, per i controlli sanitari agli Ospedali Militari, Caserme e Questure, per la snervante attività di coordinamento ed organizzazione dei sottoposti, per i numerosi interventi alle popolazioni calamitate effettuati anche in elicottero, per i numerosi sopralluoghi di delitti avvenuti in zone impervie, per le migliaia di visite d’arruolamento svolte nei vari Ospedali Militari Regionali ed in ultimo la nomina a Presidente della Commissione Medica della massima Scuola di Polizia di Nettuno, per le conseguenze di intensi e reiterati strapazzi fisici, per i traumatismi da sforzo, per i continui viaggi, per le avversità di clima e ambiente con rapidi cambiamenti di temperatura ed infine per l’aggravamento delle preesistenti invalidità contratte e riconosciute nell’adempimento del proprio dovere, chiede, con istanza presentata al Ministero dell’Interno, in data 20 giugno 1983, di essere dispensato dal servizio per motivi di salute. Il Ministero dell’Interno lo promuove Generale Medico in data 10 febbraio 1984 ed in accoglimento alla sua richiesta, lo dispensa dal servizio. In data 04 gennaio 1988 il Ministero della Difesa, gli conferisce la “Medaglia Mauriziana” al merito di dieci lustri di carriera militare. Collocato a riposo, continua la sua attività di medico di base e, nonostante gli impedimenti fisici lo costringano nel tempo sulla sedia a rotelle, continua a prodigarsi indistintamente per tutti i pazienti mantenendo fede al giuramento d’Ippocrate fino alla sua morte sopraggiunta a Scilla il 13 luglio 1991.
di Raffaele Vita, medico del Suem 118 di Reggio Calabria

giovedì 18 ottobre 2007

dr LUIGI SIDARI: Nemo profeta in patria (Scillae)

Luigi Sidari nasce a Scilla l'1 agosto del 1908, si laurea in medicina e chirurgia presso l'Università di Messina nell’ottobre 1934.
Nel 1937 vince il concorso per medico di porto a Massaua (città dell'Eritrea che durante l’occupazione fascista era diventata il primo porto del mar Rosso) dove svolge la sua attività fino al precipitare degli eventi bellici.
Infatti con l’occupazione inglese viene fatto prigioniero e trascorre la sua prigionia a Cheren, città celebre per l'omonima eroica battaglia tra le truppe italiane e le forze britanniche e del Commonwealth, avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale e che di fatto sancì la fine del sogno imperiale italiano.
Rimpatria nel 1943, risponde da un avviso della Ponteggi Dalmine e lì viene assunto come direttore sanitario dello stabilimento industriale esistente nel paese di Dalmine, in provincia di Bergamo.
La situazione politica si fa incandescente e lui, essendo iscritto al Partito Nazionale Fascista, anche per proteggere moglie e figlia, torna a Scilla.
Nel suo paese cercano di ostacolarlo nell’esercitare la professione medica. Tra coloro i quali osteggiano il dottor Sidari vi è il futuro deputato del Psiup e sindaco di Scilla, avvocato Rocco Minasi (già volontario in Africa con le truppe della Milizia) e, addirittura, un parente "sinistrorso".
La guerra finisce e Luigi Sidari diventa finalmente medico condotto del paese. Il dottore, nonostante i soprusi subiti non è in cerca di rivalse e rimanendo fedele al giuramento di Ippocrate, mette a disposizione di tutti gli scillesi indistintamente la sua scienza.
Si deve a lui se Scilla ha un ospedale, il seme lo buttò priprio Luigi Sidari e poi l’opera fu proseguita da altri.
Nel 1950 lascia Scilla per Roma, e dopo una breve parentesi di allontanamento dal lavoro per motivi di salute, nel 1951 si trasferisce a Nettuno come Direttore Sanitario della Scuola Allievi sottufficiali del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza.
Nel 1958 ritorna nella capitale e svolge le proprie funzioni presso la Scuola Allievi Guardie di P.S. di Castro Pretorio, per poi passare all’Ispettorato Sanitario delle Poste e Telegrafi di cui diventerà Ispettore Generale.
Il dottor Luigi Sidari si spegne a Roma il 25 maggio del 1977.
Si ringrazia la famiglia Gioffrè-Sidari per la gentile collaborazione.

mercoledì 17 ottobre 2007

MELIA. Apertura al culto della chiesa

Oggi li 18 maggio 1845
Si è benedetta la chiesa costruita alla Melia nella quale fu celebrata la solenne messa dal Canonico Don Filippo Gullì assistito dal Canonico Don Raffaele Bellantoni e Don Costantino Minasi con l’intervento di Don Gaetano Minasi sindaco e Cancelliere Don Michelangelo Delfino e delli Decurioni Don Antonio Baviera e Domenico Arlotta, ed altre persone ivi intervenute.

sabato 13 ottobre 2007

SINDACI. Brevi notizie tra il 1557 e il 1788

Nel 1557 il Comune di Scilla era amministrato da un commissario, il Gran Marino Freccia
Tra il 1559 e il 1778 sindaci Leonzio Vizari e Michele Trumbetta e il di lui primogenito Don Fabrizio, il quale disponendo di altri sindaci, tutti cani muti, fino al conte Fulcone nonostante vi sia l’attuale dispotismo su dei sindaci dal maggio 1783 al settembre 1788 onde sono stati illegittimamente eletti.
Nel 1737 Cutellè, che si mise in evidenza in occasione del litigio per i diritti d’esecuzione d’ancoraggio e falangaggio, venne definito indolente.
Il 3 aprile 1756 essendo finito l’anno dell’amministrazione dei sindaci Don Carlo Antonio Carbone e Rocco Menasi ambedue nominarono il dottor Don Giuseppe Fava, Don Rocco Cutellè e Bruno Dieni.
Il 12 settembre 1763 Don Angiolo Receputo e Sebastiano Brinda tennero un pubblico parlamento e si nominarono per futuri sindaci il dottor Don Giuseppe Fava, Don Carlo Carbone e Don Diego Corsaro, Padron Antonio Paladino e Francesco Fava, e poi si vide, che resultarono per volere di sua eccellenza padrona sindaci Don Giuseppe Fava e Rocco Menasi che esercitarono il detto anno. L’anno dopo esercitò sindaco Bruno Dieni il quale fu nominato il 16 dicembre 1764 e lo stesso si vide accaduto nel 1768 nel quale anno esercitò da sindaco Gaetano Menasi di Giacomo il quale fu nominato il 12 marzo 1768.
Il 22 dicembre 1765 nel darsino dei voti dai cittadini si trova scritto così: “Filippo Caracciolo dice di voler per sindaci Don Angiolo Receputo ed Onofrio Alfonsetti”. Avvenne però l’elezione inaspettata di sindaco per Rocco Menasi.
Il 5 maggio 1770 fu eletto Angiolo Bellantonio.
Don Angiolo Receputo e Rocco Macrì amministrarono dall’otto marzo 1770 in fino al primo giugno 1772.
20 ottobre 1775, Bernardo Tanucci a capo della Giunta di Scilla.
26 ottobre 1778, Domenico Baviera sindaco minore, il quale nel 1780 fu fatto escludere dall’avo Conte, come litigante coll’Università e Don Angiolo Bellantonio sindaco maggiore.
1780, Domenico Baviera sindaco illegittimo fatto escludere dal Conte nel giugno 1780 e Don Angiolo Bellantoni per sindaco maggiore.
22 aprile 1783, sindaco Rocco Macrì e Domenico Bellantoni eletto dall’Università di Scilla.
Maggio 1783, sindaco Domenico Baviera e Angiolo Bellantoni sindaco maggiore.
1784, Medico Federico, fecero intendere all’avvocato che il sindaco Ruffino coll’antidata avea per se eletto la catena dei suoi sindaci illegittimi.
Giugno 1784 per tutto il 1785, sindaco maggiore dottor Don Francesco d’Amico e mastro Rocco Pizzarello sindaco minore. 4 giugno 1785 fino a settembre 1786.
Settembre 1786, Don Pasquale Gullì e sottosindaco Pasquale Freno.
16 settembre 1787, la nomina dell’illegittimo Bellantonio, pure restarono sospesi gli altri suoi dipendenti salariati, violentemente eletti Don Giuseppe Nizza e Domenico Freno contro i quali furono recate molte nullità.
16 ottobre 1788, sindaco Giuseppe De Nizza, sottosindaco Bellantoni e Giuseppe Baviera primo illegittimo sindaco minore dell’anno 1783.
1788, Don Giuseppe Nizza malgrado le nullità contro di esso pendenti in S. C. prima del 13 settembre 1788.

giovedì 11 ottobre 2007

SOLANO. LA MONUMENTALE FONTANA DEI RUFFO


Una vasca sorretta da un capitello artisticamente lavorato: due regali teste in bronzo, dalle cui bocche sgorga purissima acqua montana: questa è la storica fontana di Solano, collocata sulle mura esterne della chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie.
La fontana è sovrastata da una lapide marmoria alta 82 centimetri e larga circa un metro ciascuna lettera misura tre centimetri con su scolpiti i gravami feudali con sopra e sotto l’epigrafe lo stemma gentilizio della nobile famiglia Ruffo di Calabria (durante il loro dominio di Bagnara che ebbe inizio nel 1642 quando il conte Guglielmo Ruffo si impossessò definitivamente del Castello o Rocca divenendo così Duca della Bagnara e barone di Solano).
Nel territorio di Solano e precisamente ad Acerello che è frazione di Scilla e si trova sui piani d’Aspromonte non bisogna dimenticare l’altra opera della famiglia Ruffo di Calabria e precisamente la chiesa di San Pietro fatta riedificare nel 1703 da Don Guglielmo Ruffo per le necessità spirituali degli abitanti del luogo dediti all’agricoltura ed alla pastorizia ed anche per le necessità dello storico nobile casato che durante i mesi estivi vi si trasferiva da Scilla nella loro dimora d’Aspromonte “ Casale del Principe “ o come si chiama adesso “ Casamento “ località molto frequentata dai villeggianti per dissetarsi alla fonte ove sgorga una purissima acqua oligominerale.
La chiesa di San Pietro in stile bizantino, durante il Regno delle due Sicilie godeva di una assegnazione annua di trenta ducati da parte del Decurionato di Scilla per la manutenzione e le riparazioni necessarie. Con l’avvento del Regno d’ Italia venne a cessare il contributo vitale per il mantenimento del luogo di culto, tanto che a causa delle intemperie venne a crollare. Della chiesa sono state salvate da Domenico Cambareri di Acerello (1881-1869) il tabernacolo e la croce in stile bizantino, il busto marmoreo di San Pietro (opera della Scuola del Bernini del XVII secolo) è stato portato provvisoriamente nella chiesa Madre di Scilla in attesa della riedificazione della chiesa in Aspromonte.
L’Arcivescovo di Reggio Calabria Monsignor Vittorio Luigi Mondello accogliendo l’istanza del cavaliere Domenico Cambareri il quale si è reso interprete del desiderio delle numerose famiglie di Acerello di avere ricostruita la loro chiesa per poter fruire della assistenza spirituale come tutte le comunità, ha disposto la riedificazione della chiesa di San Pietro in Aspromonte (la costruzione è in via di completamento).
Domenico CAMBARERI

IL PORTO



La necessità di dotarsi di un porto è stata sempre un’aspirazione della cittadina del basso Tirreno reggino. Nel 1798, l’astronomo Rocco Bovi, sindaco dei nobili, aveva elaborato un progetto per la costruzione del molo. Le attese del popolo scillese furono però disattese prima da Giuseppe Bonaparte, poi da Giocchino Murat, i quali, negli anni successivi non intesero finanziare l’opera. Altra richiesta fu avanzata nel 1848 dal sindaco Gaetano Minasi, all’indomani del naufragio di un bastimento genovese avvenuto nelle acque antistanti il paese. Questa volta a Napoli si riconobbe la validità di tale richiesta, tanto che Re Ferdinando di Borbone, fece approntare un decreto urgente per la costruzione di un porto-rifugio. Anche questa volta l’istanza andò delusa. Il deliberato del sovrano non fu mai eseguito. Gli scillesi non si arresero, il porto era un’opera fondamentale ed irrinunciabile, tanto che gli amministratori comunali la preferirono alla costruzione della strada carrabile per Solano.
La prima pietra, quindi, fu posata dal consiglio comunale, nella seduta del 30 marzo 1875. In quella circostanza, il civico consesso deliberò all’unanimità di cambiare la richiesta per la costruzione della strada obbligatoria Scilla-Melia-Solano sostenendo la necessità impellente di realizzare il porto. L’atto amministrativo, che di fatto fece trasferire le risorse statali dalla Scilla-Solano alla costruzione del molo, fu firmato dal consigliere anziano Bellantoni, dal segretario Scalise e dal sindaco Guglielmo Zagari. Tuttavia, per l’avvio dei lavori si dovette attendere ancora qualche anno. Come spesso accade, il Governo centrale intervenne soltanto dopo l’ennesima tragedia del mare. Nel 1886, infatti, fu una nave austriaca a colare a picco davanti Chianalea. Il porto fu completato nel 1905.

mercoledì 10 ottobre 2007

IL CIMITERO

Nel 1804, con l’editto di Saint Cloud, Napoleone Bonaparte (a fianco lo stemma araldico di famiglia) vietava, per motivi igienici, la sepoltura dei morti nei pressi delle chiese urbane e autorizzava solo quella nei cimiteri.
Scilla ebbe il suo cimitero solo nel 1842. Sino a quel momento i corpi venivano inumati nell cripte della Congreghe religiose. A Scilla, tra le altre si ricordano quella del SS. Rosario (Vertigine) e quella di Porto Salvo (Chianalea). Le cripte erano sottostanti alle omonime chiese e le congreghe erano composte da associati apparteneti alle varie fasce sociali. Quella del SS Rosario, ubicata nel cuore della cittadina, era quella delle famiglie nobili. Il campo santo di Scilla su consacrato il 27 ottobre 1842. Alla cerimoni furono presenti il regio giudice Gaetano Catalani, il sindaco Tommaso Cutellè con gli eletti (attuale giunta), il cancelliere (segretario comunale), parte del corpo decurionale (attuali consiglieri comunali) e un gran numero di cittadini. La funzione religiosa fu officiata dall'arciprete Paolo Tuzzo assistito da canonici e sacerdoti. Il cimitero di Scilla racchiude una parte importantissima di storia cittadina con i suoi 165 anni. Per concludere, il terreno dove fu costruito il cimitero allora detto di Santa Croce, fu espropiato agli eredi di Angelo e Domenico Bellantoni.

LA PARROCCHIA DI FAVAZZINA

L'isitituzione della parrocchia di Favazzina, oggi aggregata alla chiesa scillese, risale alla fine del '700. Sino ad allora, la chiesa della frazione costiera, è stata una Cappellania Curata alla cui guida nel 1777 era il 1° Rettore, don Giuseppe Paladino. Primo parroco, invece, è stato il sacerdote scillese Francesco Fusco che ricoprì il sacro ufficio dal 1792 al 1829. Gli altri parroci sono stati:
Serafino Bueti (1829-1860)
Rocco Bueti (1860-1900)
Nicola Giunta (1900-1916)
Antonio Bueti (1922-1955)
Rocco Fucà (1956-1968)
Antonino Pignataro (1968-1978)
L'ultimo parroco fu lo scillese Pietro Scopelliti. La parrocchia di Santa Croce, in alcuni periodi è stata retta da sacerdoti non titolari: i cosidetti economi (Gaetano Pizzarello 1916, Vincenzo Santoro 1916-1922, Giuseppe Zanon 1955-1956).

L'ANTICA FONTANA DI SOLANO

Nell'antica fontana di Solano, che un tempo segnava il limite di demarcazione tra i territtori baronali appartenenti rispettivamente al principe di Scilla e al duca di Bagnara, vi è una lapide in marmo che riporta il dazio da pagare al duca di Bagnara per tutto ciò che veviva fatto transitare attraverso il suo feudo. La scritta dell'antica fontana, che si conserva in condizioni discrete, recita così:

Pandetta o sia tariffa nella proprietà del Passo di Solano che si esiggono nel modo infra scritto per decreto della Regia Camera.
Per salma di seta grana deca * Per salma d'oglio grana tre * Per salma di mercantia di qualsivoglia valore grana quattro * Per salma di grano e altre vettovaglie grana uno * E se dette salme non saranno intere pro rata a dette raggioni * Per centinaro di porci percore e capri carlini tre * Per centinaro d'animali vaccini carlini cinque * E se detti animali saranno maggiore o minori num. d'un centinari di raghi pro rata alle suddette ragioni e non più * E se pagherà una volta e poi tornasse a passare con le medesime robbe ed animali non sia tenuto a pagare cosa alcuna * Idem non s'esigga cosa alcuna per carnaggione * Idem per qualsivoglia meretrice non s'esigga cosa alcuna * Idem non s'esigga cosa alcuna per scasatura di casa per li cullati per le robbe che si portano in prese e che fussero per perdersi * Idem non s'esigga cosa alcuna per le robbe che si portano per uso proprio di casa propria.

TERRE DEMANIALI

15 ottobre 1841
E' giunto qui il Consigliere della Intendenza Signore Spagnolio accompagnato dal segretario Signore Renda delegato per la divisione delle terre demaniali della Melia, Aspromonte e della Contrada Santa Domenica e Sant'Antonio in Solano.

LA PROMESSA DI MATRIMONIO

21 luglio 1840
Per atti del notaio don Giuseppe Gioffrè venne stipulata la promessa dotale di mia figlia Nunziata con don Giuseppe Gullì di don Domenico, che si furono promessi e cosegnati ducati 1074, dicasi 1074,95. Consistenti in 300 contanti altri 440 ducati dalla partita del castaneto comprato da Nizza e ducati 334,95 in tanti beni mobili tutti novi, che tutti vennero consegnati nell'atto e trasportati dopo la stipula nella casa destinata per la loro abitazione sita nella piazza di San Rocco.Nell'intelligenza a scanso di dubbi, nell'atto promessa si dice che la dote è nella somma di ducati 1110,95 questa differenza è nata dall'importo del gettito di un anno che non fu calcolato.

LA CHIESA MADRE


Alle ore 16 del 4 aprile 1838 la statua in marmo dell'Immacolata Concezione, riposta temporaneamente nella sacrestia della Chiesa Madre sopra una cappella di legno venne trasferita sopra l'altare maggiore provvisorio in legno. "ad onore della stessa Vergine nell'antico sito fabbricato in questo Comune di Scilla".
Giorno 7, invece, venne benedetta la nuova Chiesa Matrice e il giorno successivo"si principiò a celebrare e fare le sacre funzioni, con una folla di popolo che vi concorreva da tutti i quartieri".

martedì 9 ottobre 2007

LA TRAGEDIA DEL 28 DICEMBRE 1908







Manca qualche ora all’alba. Il tempo non è dei migliori. Una pioggerellina viene giù da ore. La tragedia è in agguato e si consuma in pochi minuti. Ecco la breve e drammatica cronaca del comm. Giuseppe d’Amico, che sarà Regio commissario dal dicembre 1942 al settembre 1943 e sindaco dall’ottobre 1946 al gennaio 1949.

Il giorno 28 dicembre 1908 alle ore 5 antimeridiane vi fu quel terribile cataclisma che tante vittime e tanti danni arrecò in Messina, Reggio e paesi. L’intensità della scossa si estese da Lazzaro a Palmi. Voler descrivere l’impressione provata nel fatale momento è cosa impossibile, poiché è stata tale la tensione dell’animo che ricordo l’inizio del moto, ma quando raggiunse il movimento il movimento vorticoso non ricordo nulla. Due volte fui sbattuto a terra e mi destai quando un gran polverio mi soffocò. Nulla compresi che porzione della casa era già caduta. Il resto di essa si sprofondò dopo qualche giorno. Fortunati noi, perché ci dette il tempo a scappare. Precipitandomi fuori, vi trovai ignuda mia madre e molte altre donne. Era buio, pioveva. Strade ingombre di materiale, fili della luce elettrica, vetri. Fui costretto a tornar su a fuggi fuggi tirar qualche coperta avvolgere mia madre adagiarla sulle spalle e fuggire al largo. In piazza del duomo ove ci accampammo sino all’alba, si raccoglievano i fuggiaschi del quartiere Chianalea, i feriti e qualche cadavere.
Le scosse continuavano. Nulla si sapeva finché fu giorno dei due quartieri perché le strade ingombre e le case che minacciavano di cadere cioè quelle che rimasero.
Dalla piazza del Duomo, dove ripeto eravamo raccolti, calmato il primo frastuono giungevano a noi lamenti, grida strazianti di morte.
Inconscio del pericolo per quanto ho potuto mi son dato al salvataggio. Mi giunse lamento del povero Don Nunzio Canonico Vita – Mi slancio dalla piazza lo prendo in braccio, perché molto piccolo di statura, e lo porto al sicuro in piazza. Era anche lui con la sola camicia da notte.
Intento a far qualcosa di buono, mi vedo afferrato da Ettore Florio che al chiaro di un fascio di cannicciole cercava qualche aiuto per potergli salvare il padre. Alle sue preghiere commoventi, per quanto la famiglia mi trattenesse, sono riuscito appena in tempo di salvarlo mentre la balia Donna Rosaria, per quanto io abbia chiamato e battuto non dava segni di esistenza – si è vista dopo morta.


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